Lavoro del Sesso e attivismo per i diritti delle migranti. Parlare di tratta e’ parlare di migrazione

Intervento di Ava Caradonna al SUI GENERIS dell’Universita’ La Sapienza di Roma, Maggio 2010

Il progetto x:talk (che si potrebbe tradurre dialoghi incrociati) si e’ costituito come un gruppo auto-organizzato di sex workers che organizza lezioni gratuite di inglese per le/i migranti che lavorano nell’industria del sesso e che per vari problemi di documentazione, criminalizzazione ed isolamento hanno un accesso ristretto a corsi di lingua ufficiali. X:talk vuole essere un luogo di scambio di conoscenze importanti come la lingua, per poter comunicare meglio tra di noi, per lavorare meglio e in condizioni più sicure e anche per avere i mezzi necessari per rivendicare i propri diritti.

X:talk e’ presto diventato un punto di incontro e di organizzazione politica, infatti, nel corso delle lezioni varie studentesse/studenti si sono unite al collettivo di organizzazione e hanno partecipato a mobilitazioni ed interventi in difesa dei propri diritti come migranti e come lavoratrici.

L’idea di x:talk nasce nel 2005, quando una sex worker di nome Alice lavorava in una casa/bordello nella periferia di Londra assieme a due altre donne. Le due donne che lavoravano con Alice provenivano dalla Tailandia e guadagnavano meno di lei, perché Alice veniva considerata ‘europea’ – quindi più cara. Al contrario delle altre, Alice parlava inglese ed era quindi in grado di negoziare e contrattare meglio con i clienti. Le due altre donne erano entrate ‘illegalmente’ in Inghilterra, e dovevano ripagare una considerevole somma di denaro alle persone che avevano loro facilitato l’entrata, prima di poter cominciare a guadagnare per se stesse. Quando Alice venne a sapere della loro situazione, chiese loro se c’era qualcosa che poteva fare per aiutarle, ma loro resero ben chiaro che non volevano essere aiutate, anche se avrebbero molto voluto imparare la lingua. Così sono cominciate le prime lezioni di x:talk, tra un cliente e un’altro in un bordello del nord di Londra.

X:talk nasce quindi da due momenti di fondamentale importanza politica: la realizzazione della strutturale disparità di risorse tra lavoratrici migranti (o non-europee) e non, e la realizzazione dell’importanza di comunicare, di interpellare, e di lottare assieme piuttosto che ‘aiutare’ o ‘salvare’.

Quando si tratta di sex workers migranti, e’ infatti molto raro che si senta parlare di soggetti autonomi, con un proprio progetto migratorio, con degli obbiettivi di vita e persino delle rivendicazioni politiche.

Quando si parla di sex workers migranti si sentono esclusivamente storie di violenze, abusi, lavoro coatto e traffico di donne e bambini. In poche parole, si sente parlare solo di vittime, e le vittime, in quanto tali, non hanno voce, vanno protette, salvate, e vengono solo interpellate dalle autorità per farsi condurre dal trafficante, stereotipicamente il criminale uomo, migrante anche lui. Se poi queste vittime (come in Inghilterra succede nella maggior parte dei casi) non risultano totalmente ‘innocenti’ (si scopre per esempio che erano al corrente del fatto che avrebbero lavorato nell’industria del sesso) o se non hanno documenti validi, vengono prontamente assistite al rimpatrio (quindi deportate).

Negli ultimi decenni in tutta Europa si sente parlare del binomio migrazione e lavoro del sesso quasi esclusivamente in relazione al traffico di esseri umani (quasi esclusivamente di donne e bambine). Le politiche contro la tratta, a livello nazionale come europeo, si aggiudicano il consenso morale della maggior parte delle persone, in quanto ovviamente poca gente si dichiarerebbe a favore dell’abuso di donne e bambini e del lavoro coatto.

Ciò che rimane purtroppo completamente obliterato dietro a queste politiche sono le cause strutturali che stanno alla base dello sfruttamento del lavoro delle migranti e dei migranti in generale, e il ruolo ricoperto dallo stato nella riproduzione di tali cause. In particolare, si possono individuare quattro elementi strutturali celati dietro le politiche dell’anti-trafficking:

  • Prima di tutto, vittimizzare delle persone considerandole ‘trafficate’ nasconde e nega qualsiasi loro volontà di migrare, volontà ovviamente mediata da specifiche realtà economiche e politiche, le quali però non vengono affatto cambiate per mezzo di deportazioni criminalizzazione o con la condanna di pochi ‘trafficanti’.
  • Inoltre, se molte migranti arrivano a pagare qualcuno e a ad indebitarsi per poter entrare ‘illegalmente’ in un paese e’ proprio perché altrimenti non riuscirebbero ad oltrepassare le frontiere, e allo stesso tempo se molte/i rimangono a lavorare nell’industria del sesso e’ anche perché non hanno accesso a molti altri lavori per mancanza di documenti.
  • In più, la criminalizzazione dell’industria del sesso (sempre più spesso nel nome dell’ anti-trafficking), così come la criminalizzazione dell’ immigrazione ‘illegale’, invece di ridurre lo sfruttamento delle e dei migranti lo incrementa: rendendo il loro sostentamento sempre più precario e limitando ulteriormente la possibilità di rivolgersi alle autorità per denunciare abusi e sfruttamenti.
  • Infine, i discorsi sulla tratta tendono a ritrarre il lavoro del sesso come sinonimo unico di sfruttamento e lavoro forzato. Così facendo, si nascondono tutte le altre occasioni di sfruttamento e abuso del lavoro dei migranti che vengono in gran parte condonate dallo stato, si pensi solo allo sfruttamento nell’ambito del lavoro domestico, e del lavoro agricolo o industriale.

Questa realtà di vittimizzazione e criminalizzazione delle sex workers migranti serve a coprire la natura politica ed economica delle migrazioni e a mascherare come diritti umani politiche che sono invece meramente dirette a ridurre la migrazione e a criminalizzare l’industria del sesso.

In Inghilterra, ciò e’ divenuto più che evidente con la recente adozione del pacchetto legge chimato ‘Policing and Crime Bill’, che punisce i clienti che comprano servizi sessuali da migranti ‘trafficate’. Il fatto che tali clienti possano essere accusati e condannati di tale reato prevede necessariamente la constatazione da parte della polizia che la lavoratrice sia stata in precedenza ‘trafficata’. Se lo scopo e’ ‘salvare’ lei non ci si spiega perché non si agisca prima che il cliente compri i suoi servizi. Ciò che accade sono invece retate della polizia nelle case dove lavorano sex workers migranti, la chiusura molto spesso di queste case, che poi riaprono in luoghi più nascosti, e ancora più spesso la deportazione delle persone trovate senza documenti.

Il Policing and Crime bill e’ passato questo scorso Aprile, nonostante le proteste organizzate da x:talk e da altri gruppi di sex workers e nonostante i dati riportati da ricerche intraprese direttamente con sex workers migranti (altro esempio del fatto che non si ascoltino le loro voci).

Nel 2009 ho fatto parte di un gruppo di ricerca condotto dalla Metropolitan University di Londra chiamato ‘Migrants in the UK Sex Industry’ nel cui ambito abbiamo intervistato 100 sex workers migranti tra donne, trans e uomini provenienti dal Sud America, dall’Europa dell’Est, dal Sud Est Asiatico e dall’Unione Europea, che lavoravano a Londra e dintorni. I partecipanti sono stati contattati attraverso network informali e conoscenze personali, così come visitando varie case e posti di lavoro, piuttosto che ricorrendo a servizi di assistenza o alla polizia. La ricerca ha riscontrato che la gran maggioranza delle/dei migranti non si ritenevano forzate a lavorare, ma vedevano il lavoro del sesso principalmente come una risorsa per migliorare le proprie vite e quelle dei loro famigliari. Criminalizzazione e stigmatizzazione del lavoro del sesso sono emerse come maggiori cause di precarita’ e sconforto, non i servizi sessuali stessi o il lavoro forzato.

Purtroppo, il Policing and Crime Bill, criminalizzando ulteriormente l’acquisto di servizi sessuali, contribuira’ all’ulteriore clandestinità e precarietà dell’industria del sesso e indirettamente all’aumento della stigmatizzazione di tutte le/i sex workers.

Per concludere, in un tale contesto di vittimizzazione, criminalizzazione e isolamento delle sex workers migranti, e di stigmatizzazione delle sex workers in generale, x:talk si propone come una piattaforma da cui poter far sentire la propria voce come sex workers e come migranti, per poter rivendicare il diritto alla residenza ed al lavoro, contro paternalismi, vittimizzazioni, e deportazioni. Per noi il lavoro del sesso e’ un lavoro, e proprio in quanto lavoro ed in quanto fonte di lucro e’ un possibile teatro di sfruttamento, non di per sé perché abbia a che fare con il sesso o con delle ‘povere vittime migranti’. Quanto più il lavoro del sesso e la migrazione verranno illegalizzati e combattuti, tanto più tutte le/i sex workers rimarranno vulnerabili e stigmatizzate. È per questo che riteniamo di fondamentale importanza continuare a lottare per la legalizzazione del lavoro del sesso e di tutte le/i migranti in quanto persone.

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Wednesdays 11am - 3pm

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